venerdì 25 novembre 2011

Fahrenheit 549 (Contro l'editoria a pagamento)

Di Mauro Simeone

Le parole di Sara erano freccette scagliate contro il suo bersaglio preferito: io.
- O lui o me.
- Non puoi chiedermi questo amore, lo sai che è una scelta che non posso fare – replicai.
- Cioè, scusa, non puoi scegliere tra dare una casa a tua moglie o rincorrere un sogno irrealizzabile?
La sua espressione stupita era la risposta affermativa a una risposta che io non avevo ancora dato.
No.No.No.
Provai a mettermi nei suoi panni, una condizione che a me, in quanto scrittore, sarebbe dovuta essere semplicissima. Lei chiedeva un tetto, quarantacinque metri quadri, mattoni e calcestruzzo, cose fisiche, reali, tangibili.
Io però bramavo tutt'altro, il mio sogno era ancora quello di veder pubblicato, senza contributo, un mio testo. Non m'importava che fosse un romanzo, una raccolta di racconti, un aforisma; il mio sogno era quello di riconoscere in un libro parole che erano state edite, prima di allora, soltanto dalla Casa editrice “Cuore mio”. Con un significativo contributo di notti insonni, ripensamenti, entusiasmi, passione, inchiostro.

- Mi hai stufato! Lo sai benissimo che nessuna Casa editrice ti pubblicherà mai!
Mi sentii smarrito, confuso di fronte a una pagina bianca lunga trecentomila cartelle ancora da riempire. Se Sara mi avesse detto che ero una frana a letto, mi sarei sentito meno ferito, ma con una sentenza del genere mi ammazzò.
Scrivevo da quindici anni ed ero riuscito a collezionare ben nove pubblicazioni, a pagamento.
Tre raccolte di racconti, duemilacento euro, quattro romanzi brevi, seimila euro, due racconti lunghi, tremilacinquecentosedici euro.
Totale: la convinzione di non riuscire mai più a definirmi uno scrittore, uno che non debba pagare denaro per proclamarsi autore di una frase, un periodo, un'emozione distribuita ad altri.

Raggiunsi la camera da letto in uno stato di trance. Aprii l'armadio che conteneva il mio tesoro, fatto d'emozioni e di soldi gettati via. Millecinquecento copie che si erano accumulate e che non ero riuscito a rivendere neppure ai parenti a Natale. Undicimilaseicentosedici euro che, per un disoccupato come me, avrebbero rappresentato già un decimo della casa per me e per Sara. Ne feci un fagotto che m'accollai sulle spalle. Uscii di casa.
In uno spiazzo d'erba secca dove la luna era l'unica testimone feci quello che dovevo fare; accesi un falò che alimentai con ripetuti soffi, ultima risorsa dell'artista incompreso che ero.
Vi gettai dentro il primo romanzo scritto a vent'anni, il fuoco s'imbizzarrì come il Cavallino rampante della Ferrari. Poi toccò alla prima raccolta di racconti, poi il secondo romanzo, il racconto lungo, man mano che gettavo libri aumentava la sensazione di calore, sembrava che non solo la carta ma anche qualcosa di me stesse bruciando.
A un certo punto ebbi la consapevolezza di essere il peggiore dei criminali, quello che uccide il se stesso più intimo per adeguarsi a una società cieca di fronte ai bisogni di ciascuno. Un'illuminazione!
Provai a placare l'incendio, volevo salvare almeno una copia dei testi con contributo che avevo scritto con tanto amore; il fuoco però era alto e cattivo, sembrava insensibile al mio dolore e le mie lacrime lì sopra avevano l'effetto della benzina e lo rendevano ancora più crudele, lo scoppiettìo dei rami e della carta erano grasse risate. Ah ah ah.
Portai entrambi le mani alla testa, fu in quel momento che realizzai di non poter fare più niente di fronte a quell'orrore, mi sentii come un pilota di Formula Uno degli anni settanta che cerca con tutte le forze ma invano di salvare il proprio compagno di scuderia che sta morendo bruciato dentro la sua monoposto dopo un terribile incidente.
Rimasi perciò impietrito di fronte alla mia bibliografia andata in fumo e mi vergognai nel pensare che le mie frasi non avrebbero strappato a nessuno alcuna risata né dolore. Mai e mai più.
Quando il fuoco si mangiò anche l'ultima copia della mia prima raccolta di racconti iniziò a piovere. Aguzzai la vista, una striscia di carta era rimasta intatta a tutto quell'inferno; mi abbassai sulle ginocchia, la raccolsi e la lessi:
“Per la pubblicazione dell'Opera è richiesto un contributo da parte Sua a titolo di compartecipazione al costo complessivo dell'edizione. Tale contributo è quantificato in euro 1.500,00 (millecinquecento). Nessun altro impegno economico, di nessun genere, sarà a Suo carico."