venerdì 25 novembre 2011

Terra editoriale e nomadismo

Di Simona Baldanzi

Su Repubblica del 28 ottobre 2010 ho letto un articolo intitolato “C’era una volta l’editoria”. L’articolo è molto più interessante di quanto fa intendere il sottotitolo “Le pagelle dei libri, così Vittorini bocciò Tolkien”. Vittorini viene spesso citato per le sue stroncature quasi per portarlo ad esempio di consolazione: se anche i grandi si sbagliavano nel passato possiamo accettare che accada anche nel presente. Il rischio e la scommessa fanno parte del gioco editoriale di ieri e di oggi, non è questo che ci preme evidenziare. Piuttosto è il contesto editoriale in cui era calato Vittorini che ci interessa e come sia cambiato rispetto a oggi.
Ferretti, l’ottantenne critico letterario, saggista, già responsabile delle pagine culturali de l’Unità e docente universitario, fa un’analisi chiara riportata all’interno del pezzo che merita di essere riproposta per intero su questo blog per aprire una discussione:
“Il libro non è più frutto di un lavoro collettivo e creativo in un panorama felicemente conflittuale, dove il letterato-editore partecipava al processo della scelta con le sue idee e le case editrici avevano forte personalità e precise identità, verso cui gli autori mostravano una forte appartenenza: si pensi a Italo Calvino con L’Einaudi e Alberto Moravia con Bompiani. Nell’editoria odierna quelle identità non esistono più, così come è venuto meno il senso dell’appartenenza: si assiste a un nomadismo degli autori. Il lavoro è maggiormente centralizzato, prevale la parte commerciale e i libri sono fatti non più per diventare “catalogo”, bensì con logiche sovente stagionali. I buoni libri si fanno ancora […], qualche casa editrice almeno in parte conserva una sua identità: tra queste Feltrinelli, Adelphi, Einaudi, La Terza, Sellerio, e/o, Minimum Fax. […] Nelle case editrici del passato si voleva fare cultura vendendo libri. C’era quella consapevolezza, c’era amore per il libro, anche in chi badava di più al mercato”.

Questo intervento fa sorgere diverse domande. I letterati-editori da chi sono stati sostituiti? Quali sono le conseguenze nel mondo editoriale e nei libri della perdita di una forte identità da parte delle case editrici? Se non si investe sul catalogo, ma sul libro stagionale, cosa rimarrà, in futuro, di migliaia di libri che escono ogni settimana? Quali conseguenze per la letteratura? L’amore per il libro chi lo sente ancora?
Sul nomadismo degli autori fra le case editrici devo dire che in parte Scrittori in Causa pone delle tesi. Un autore non rimane in una casa editrice per spirito di appartenenza perché la reciprocità di stima e di fiducia alla base del sentirsi parte di qualcosa sono diventati rari, sottili e traballanti. Capita spesso, all’autore esordiente, una delusione conseguente a una forte aspettativa: pensa di avere trovato una famiglia intellettuale che lo ha accolto perché lo vuole pubblicare, che scommette su di lui e sulla sua crescita. E invece può rendersi conto che l’interesse della casa editrice è solo “stagionale” e legata al mercato di quel preciso momento. Dopodiché, come quando finisce la vendemmia, puoi cercarti un altro mestiere o, appunto, un’altra casa editrice. Gli autori sono nomadi perché cercano soluzioni contrattuali migliori, perché spesso le persone che lavorano nelle case editrici migrano e cambiano azienda e così anche l’autore che magari si è trovato bene a lavorare con loro, con il proprio editor, sceglie di seguirli; perché anche le case editrici cambiano e si trasformano sempre più spesso in termini di proprietà, di linea, di obiettivi. Non c’è più una terra editoriale dove mettere le radici e questo, così come avviene con i popoli nomadi, rende gli autori liberi, ma anche fragili, esposti ad attacchi, precari. Il senso di appartenenza a un gruppo sembra far parte solo della cultura del Novecento. Si è discusso molto su questo per quanto riguarda i partiti e le organizzazioni, molto meno per le case editrici, per i gruppi culturali. La disgregazione del partito di massa ha avuto effetti sulla politica. E la disgregazione nel campo culturale quali effetti ha avuto? Ci sono dei germogli in direzione contraria?
L’articolo di Repubblica a firma di Massimo Novelli si conclude riportando una lettera di Gian Paolo Brega, nume tutelare della Feltrinelli, scritta nel ’71 e inviata a Erich Linder, l’agente letterario di tanti scrittori del tempo:

“Oggi in Italia quasi tutti, editori in testa, mirano solo ad un’universale contaminazione di idee e posizioni, così da manipolare meglio il maggior numero di persone, indipendentemente dai loro reali interessi e dai valori che gruppi e classi portano in sé. A danno è ovvio dei subalterni”.

E voi, la situazione oggi, come la vedete?


Simona Baldanzi